Storia

La decisione di dare vita nel 1976 alla rivista «Teologia» è da leggere come coimplicanza di più fattori.

La pubblicazione è da mettere in relazione con una valutazione critica sulle vicende della teologia italiana: per un verso, veniva registrato il moltiplicarsi degli inviti rivolti alla teologia (accademica) ad un salutare silenzio per far posto ad una versione prassistica della testimonianza cristiana; per altro verso, si riscontravano in molta pubblicistica teologica significativi vuoti tematici e, più particolarmente, l’assenza di una specifica sensibilità, cui si intende sopperire con la linea editoriale di «Teologia».

Così si esprimeva S. Ecc. Mons. Carlo Colombo nella sobria e puntuale Presentazione, che compare sul primo fascicolo:

La confluenza di queste due constatazioni – l’invito al silenzio e lo spazio aperto, NdR – ha orientato la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, che da tempo sentiva l’esigenza di darsi una voce, a pubblicare una rivista di livello scientifico che si interessasse delle questioni di fondazione e di metodo del discorso teologico. Questo argomento, per quanto sia volutamente delimitato, offre però ampi spunti di indagine soprattutto in riferimento al carattere interdisciplinare che la rivista intende assumere per esprimere le diverse discipline teologiche che nella Facoltà vengono coltivate. Una ricerca sul metodo infatti deve comprendere dei sondaggi nella storia del pensiero cristiano per cogliere nelle varie epoche le spinte evolutive più stimolanti verso la costituzione di un pensare teologico.

In sostanza, appare chiaro che se ci si riferisce alla distinzione fra una ricerca metodologica e una ricognizione contenutistica, più precisamente alla differenza fra una prospettiva di taglio fondamentale ed una di taglio speciale, è intenzione dichiarata della rivista accordare – nella presente congiuntura teologica, per ragioni di merito, come pure di economia di forze – un deciso privilegio al primo dei due poli.
Ciò, alla luce della convinzione che nel nuovo corso post-conciliare è assolutamente inderogabile per la teologia l’esigenza di provvedere ad un ripensamento strutturale in ordine alla natura, ai fondamenti ed al metodo, come pure alla sua singolare localizzazione nella Chiesa e nell’odierno orizzonte culturale e scientifico. Ebbene, poiché a giudizio degli stessi promotori di «Teologia» a più di quatto lustri di distanza non è dato registrare rilevanti modifiche o inversioni di tendenza nel quadro della situazione, una tale pregiudiziale ha da essere riaffermata nella denuncia critica e nella portata propositiva.

Semmai, alla luce del fatto che finalmente quella istanza teologica fondamentale è pervenuta ad una sufficientemente articolata giustificazione – soprattutto con la pubblicazione di: L’evidenza e la fede, a c. di G. Colombo, Glossa, Milano 1988 – vi sono le condizioni che favoriscono l’approccio a specifiche regioni del sapere teologico, onde verificare la legittimità e la validità dell’applicazione di quella prospettiva fondamentale.

La fase di progettazione coincide con un lavoro di ricerca in comune di una équipe di docenti della Facoltà coordinati da Giuseppe Colombo, con l’obiettivo di verificare la possibilità di far intercorrere una serie di collegamenti non estrinseci fra diversi insegnamenti disciplinari, così che possa emergere al loro interno una chiave interpretativa unitaria ed una medesima nozione di metodologia teologica. A questo riguardo, proprio per evitare un approccio formalistico alla questione, vengono prese in considerazione diverse piste di ricerca onde pervenire ad un punto di applicazione di quell’ipotesi di lettura: fra esse si devono segnalare le questioni del linguaggio teologico, del metodo e della cristologia.
Infine, si individua una possibilità di convergenza su due temi:
a) la «fine della metafisica» e la necessità dello «storico» in teologia; ciò, ovviamente, non nel senso del recupero della teologia positiva, idea già superata nel dibattito dell’immediato dopoguerra (anni ’50), ma in vista di elaborare un’ontologia della storia capace di integrare la prospettiva della metafisica naturalistica;
b) la «svolta ermeneutica», con la sua pretesa di valere come sostitutivo del metodo teologico della tradizione precedente.

Come tale il pretesto è quello offerto dalla vicenda tedesca del dibattito epistemologico (Positivismusstreit), cui partecipa derivatamente la stessa scienza teologica, impegnata ad esperire la possibilità di un’alternativa alla metafisica e alla logica tradizionali. Nell’ampia ed articolata ricostruzione critica delle varie fasi di quel dibattito – cfr. G. Angelini – G. Colombo – P. Sequeri, nei primi due fascicoli del 1976 – emergono già le due direzioni verso cui si orienterà la successiva ricerca, proprio come soluzioni alternative alle tendenze dominanti riscontrabili nei due nuclei tematici sopra richiamati:
a) nel primo caso si tratta di riaffermare l’urgenza di una nuova applicazione della riflessione teologica al tema della verità, che a sua volta indirizza verso una nuova teoria della coscienza;
b) nel secondo caso, la fede può sì venire intesa come decisione ermeneutica di conferire valore veritativo assoluto ai suoi asserti, ma a condizione di elaborare previamente una epistemologia della fede, che sappia mostrare come la decisione di credere costituisca la mediazione peculiare dell’accesso all’oggetto della fede, e dunque alla verità degli asserti enunciati (dunque, in polemica con una regressione irrazionalistica o un riconoscimento del carattere solo estrinseco del credere in ordine alla conoscenza razionale della verità).

Nei primi anni la Rivista è stata pubblicata dall’editrice Morcelliana, dal 1989 è subentrata l’editrice Glossa.

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