“La costanza di Dio nella mia vita si chiama con altri nomi”.
C’è sempre un’alterità nel pensiero di Derrida. Altro è il nome di Dio. Altra è la lingua, la cui incompiutezza è già svelata nel suo inizio, Babele. Nome insieme proprio – quello imposto da Dio – e comune, quello racchiuso nell’etimo ebraico che sta a significare confusione.
E altro è l’uso del linguaggio dentro il quale, nella decostruzione dei concetti, emerge la “struttura dell’esperienza”, quasi un ossimoro a cui, tuttavia, pur cercando di mitigarne l’ambiguità (una “struttura quasi trascendente”, “che si accompagna sempre alla sua genesi”), Derrida non rinunciò mai.
Si è svolta, il 1° dicembre, la prima giornata di studio aperta al pubblico dedicata a Jacques Derrida. Genesi del senso, scrittura ed etica, in occasione del ventesimo anniversario della morte del filosofo padre del decostruzionismo. La legge, le lingue, l’avvenire. Derrida e Benjamin: la lezione di Mario Vergani, professore di filosofia teoretica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha avuto al centro la difficile e insieme feconda relazione tra Derrida e Benjamin. “Se con Levinas – ha chiarito Vergani – il rapporto si è fatto via via, da parte di entrambi, sempre più simpatetico, con Benjamin questo avvicinamento non avvenne mai. C’era forse in Benjamin, per il filosofo francese, un tono troppo escatologico” che per Derrida tradiva l’impossibilità di un pensiero realmente filosofico. Ma è proprio nel confronto con Benjamin che elementi strutturali come il messianico, l’apocalittica e l’utopia vengono riconosciuti come strutture dell’esperienza. Al di là di ogni messianismo storico, con un presente che è “già fratturato dentro se stesso” e “un’attesa senza bisogno di attesa”, prende forma una teologia totalmente immanente.
La prossima lezione aperta sarà il 12 gennaio Filosofia ed ebraismo: l’incontro tra Derrida e Lévinas, con l’intervento Prof. Silvano Petrosino, docente di teologia sistematica presso la nostra Facoltà. Partecipazione libera, con prenotazione.
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