Markus Krienke è docente di morale speciale della nostra Facoltà. Tra i suoi incarichi, è professore ordinario di Filosofia moderna ed Etica sociale presso la Facoltà di Teologia di Lugano, direttore della Cattedra Rosmini e docente di Antropologia filosofica alla Pontificia Università Lateranense. Con Pier Davide Guenzi, anch’egli docente di morale speciale presso la nostra Facoltà e presidente dell’«Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale», si alternerà nella moderazione del Convegno Homo oeconomicus? Esigenze etiche e provocazioni teologiche.
Professor Krienke, partiamo dal sottotitolo del Convegno: Esigenze etiche e provocazioni teologiche. Qual è il nesso tra etica ed economia?
Ci si dimentica spesso che l’economia non è un’entità a sé, ma un agire sociale dell’essere umano, osservando il quale si comprende che cosa una società pensa di se stessa.
Quando parliamo di agire sociale, ci riferiamo sempre sia alla sua accezione individuale, sia alla struttura istituzionale e giuridica. Per usare una metafora sportiva, infatti, perché un gioco riesca bene servono buone regole e buoni giocatori.
Sul primo versante sono le istituzioni, le loro norme e la capacità di esserne garanti a consentire alla società di svilupparsi nel suo complesso, nel rispetto e tutela dei singoli. Per il secondo, servono uomini e donne buoni, che condividono un’idea di bene e si impegnano a realizzarla, perché senza di loro, senza la responsabilità dei singoli nessun modello, per quanto virtuoso, può funzionare.
Buoni cittadini in buoni stati: possiamo sintetizzare così il primo appello dell’etica all’agire economico?
Questo è certamente un primo, necessario tassello. Ma da diversi anni questo quadro è reso più complesso dal rapporto tra le strutture economiche e sociali dei singoli Stati e la loro relazione con un’economia mondiale e globalizzata, in cui viene a mancare la condivisione di regole comuni che mettano al centro l’uomo.
La grande disparità dei meccanismi economici e finanziari globali ha conseguenze gravi, come la perdita di posti di lavoro e l’eccessiva fluidità del capitale, che si sottrae alla concretezza dei bisogni. Per questo serve pensare modelli nuovi, regole condivise e rispettate anche in un contesto sovranazionale.
In questo compito non è difficile immaginare il ruolo che dovrebbe rivestire la politica, quello della legge, della sociologia e dell’etica. Ma qual è il compito della teologia?
Innanzitutto, i cristiani non possono sottrarsi dal formulare il proprio contributo a comprendere la situazione attuale. La nostra storia, la nostra tradizione è impregnata di cristianesimo, che ha avuto ed ha un ruolo fondamentale in quell’equilibrio tra libertà e visione sociale che si ritrova, in forme diverse, nella maggior parte dei Paesi occidentali.
La teologia muove dalla fede e dalla Scrittura per indicare, attraverso la dottrina sociale della Chiesa, principi e regole per mettere sempre di più al centro l’uomo e la donna, e l’ambiente in cui sono inseriti.
Penso ad esempio all’enciclica Caritas in veritate e alla sottolineatura qui contenuta che non è sufficiente per un’economia avere regole buone: se manca la dimensione del dono nel suo senso più profondo – che trae forza dalla fede –, ogni economia è destinata al fallimento. Compito della teologia, dunque, è aiutare a evitare che la persona sia ridotta a homo oeconomicus, e di essere in ciò sprone e sostegno a una società secolare giusta.