Da altrove, la Rivelazione

L’intervento di Jean-Luc Marion nell’incontro organizzato dalla Facoltà Teologica in collaborazione con l’Università Cattolica

Rivelazione, svelamento, visione. Ruota intorno a queste tre parole la prolusione di Jean-Luc Marion, intervenuto in Università Cattolica lo scorso 14 marzo alla presentazione della traduzione del suo libro Da altrove, la rivelazione. Contributo a una storia critica e a un concetto fenomenico di rivelazione. 
A dialogare con lui, il Direttore del Dipartimento di Filosofia Giuseppe D’Anna, Francesca Perruzzotti, docente della Cattolica e Sergio Ubbiali, Professore ordinario di Teologia Sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale.

I primi due termini non possono leggersi uno senza l’altro e la chiave, secondo Marion, sta proprio nei vangeli sinottici: Non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato (apòcrypton) “(Mt 10, 26 e Mc 4,22; Lc 8,17;). Una frase che, secondo il filosofo francese tra i principali interpreti di Althusser, Husserl e Heidegger “potrebbe essere letta anche come una dichiarazione della fenomenologia”. Fuor di battuta, questo sapersi avvicinare al fenomeno, descriverlo senza giudicarlo, accettando che “ogni significazione è sempre più larga della stretta questione del reale”, questo approccio fenomenologico alla realtà, che la lascia essere senza farne un oggetto di cui la visione si appropria è per Marion la cifra di una lettura esegetica che non resti intrappolata nella scelta tra vero e non vero. Una scelta, questa, che costringerebbe e rinunciare, demitizzandola, a una parte della rivelazione pubblica di Gesù.

Ma, suggerisce Marion, la Rivelazione non è semplicemente “il modo di Dio di dire cose di stesso. Gesù non domanda a noi di dire alcune cose su Dio”. Il dire infatti non è semplicemente, come per Aristotele, “dire qualcosa di/sopra qualcosa (lègein tì katà tinòs)”.  Nel Vangelo, ciò che si dice non è detto sopra qualcosa ma è detto a un altro. Dire è appello e ascolto, e nel dire è visto e rispettato il volto dell’altro.

Così è il dialogo con la donna Samaritana. Gesù dice alla donna qualcosa di lei. Qualcosa di duro, qualcosa che le rende manifesta una verità che le appartiene. La donna ascolta e, nella sua risposta, sceglie di prendere il positivo delle parole di Gesù: “Vedo che tu sei un profeta”. “La donna – conclude Marion – ama la verità anche se la verità la accusa”. E proprio questo è l’atteggiamento fenomenologico – di una fenomenologia che, a sua volta, ha superato i propri limiti, rinunciando alla coscienza assoluta. Nella fenomenologia biblica, infatti, il soggetto non è mai trascendentale, non può costituire da sé gli oggetti ma è, al contrario, costituito da ciò che vede. 

La Bibbia è così il libro ermeneutico per eccellenza perché “davanti ad esso noi possiamo scegliere: possiamo scappare dal testo, come molti personaggi sono scappati davanti alla parola di Gesù, oppure possiamo restare, ascoltando e accettando la luce che insieme illumina e accusa”. 

Dunque, se è vero che dopo il nichilismo “non abbiamo altro accesso allessere che per dire che lessere è il modo in cui le cose sono pensate, è il cogitabile, ed è perciò troppo vuoto per dire qualcosa su Dio”, se affrontiamo il testo biblico con uno sguardo fenomenologico, se ci lasciamo interpellare dalla sua verità su di noi, entrando in questo dialogo vivo, allora anche il nostro orizzonte cambia: “non più Dio come essere, ma come agapè. Si tratta di ripensare Dio e noi stessi a partire da qui e da qui costruire un’altra logica, un’altra modalità di pensiero”.

MVG

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